venerdì, Gennaio 24, 2025
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Israele ha perso la guerra?

Sfatare la narrazione Propal è un dovere nei confronti della Storia.

Abu Obeidah, il portavoce di Hamas

Con la solita, barocca, retorica roboante ma che ha così tanta presa sui rivoluzionari da tastiera nostrani, Abu Obeidah, il portavoce di Hamas, celebra il cessate il fuoco appena siglato con queste parole:

La storia ricorderà cosa hanno subito e celebrerà come hanno combattuto i palestinesi di Gaza… Come pochi nella storia dell’umanità. Affamati, massacrati e isolati dal mondo hanno resistito da soli per 15 mesi e hanno sconfitto la macchina bellica più brutale e sofisticata sul pianeta, una macchina della morte composta da Israele, il Regno Unito e la prima superpotenza mondiale, gli Stati Uniti d’America. In altre epoche, sarebbero nati santi da incorporare nelle religioni e sarebbero state scritte epiche ed agiografie…

Sulle principali piattaforme, nei canali Propalestinesi, filorussi, terzomondisti è tutto un coro di congratulazioni agli eroici resistenti di Gaza al punto da chiedersi se fosse strumentale la distinzione che gli stessi canali facevano tra miliziani e “civili”. Mentre ora tutti vengono assimilati a gagliardi partigiani. Ovviamente la realtà è differente, e la guerra ha svelato certamente profonde connivenze ed implicazioni tra la cosiddetta parte civile della popolazione ed il movimento di Hamas. Lo dimostra il costante reclutamento di nuovi volontari ed il ruolo di carcerieri che tante famiglie hanno svolto, a turno, nei confronti dei sequestrati.

Ma analizziamola con attenzione questa dichiarazione e cerchiamo di capire, per bene, se Israele ha effettivamente perso la guerra perché ho l’impressione che anche in alcune frange della politica Israeliana faccia comodo lasciar passare il messaggio che questa guerra sia stata persa.

La guerra è finita?

Tanto per cominciare la guerra non è finita. Stiamo assistendo ad un cessate il fuoco, ma la guerra è tutt’altro che finita anzi, è molto probabile che qualcuno dei gruppi armati interrompa il cessate il fuoco, ed a quel punto i combattimenti aperti potrebbero riprendere. In realtà la guerra sta continuando con altre modalità che a molti mass media non fa comodo mettere in risalto. Ma abbiamo tantissimi episodi, nella storia, in cui la vittoria finale ha arriso a chi ha una strategia di più ampio respiro rispetto alla sola guerra guerreggiata.

La nuova modalità che si sostituisce allo scontro aperto, è quella che porta a capire allo stato attuale della guerra, quale sia la reale capacità offensiva dei gruppi armati palestinesi, quali siano le attuali capacità di rifornimento, su quali appoggi possano contare e quale vantaggio tattico possano acquisire. Per IDF (Israeli Defence Forces) in questo momento e con queste modalità, portare avanti la guerra sul terreno sarebbe stato costoso dal punto di vista delle perdite umane, poco remunerativo dal punto di vista delle conquiste tattiche e deleterio dal punto di vista politico, tanto sul fronte interno quanto su quello esterno.

Il cambio di paradigma

Possiamo quindi affermare che la decisione del governo Israeliano di assecondare le pressioni americane, oltre banalmente a custodire le buone relazioni col principale alleato, fornendo un risultato internazionale da spendere, consente di spostare, almeno temporaneamente, il conflitto dal piano militare a quello politico. Questo spostamento è possibile oggi, e non lo era all’indomani del 7 Ottobre, perché la forza militare di Hamas e Jihad Islamica, insieme a quella dell’Hezbollah libanese ed a quella dei Pasdaran iraniani avrebbe messo Israele a rischio di ulteriori, continui, attentati sanguinosi quanto il primo. Mentre invece, oggi, tutte quelle forze sono state pesantemente ridimensionate.

Il quadro internazionale

Ma riguardiamo un attimo la situazione generale del Medio Oriente Allargato. A Gaza Hamas e Jihad Islamica hanno subito da Israele perdite devastanti, sia nella leadership, sia nell’arsenale, sia negli effettivi. Ismail Anieh, Yahyah Sinwar, sono solo i vertici della catena di comando, ma sotto di loro tutti i quadri di prima della guerra son stati neutralizzati. Oggi a capo dell’organizzazione c’è il fratello di Sinwar, a dimostrazione di come siano ancora vigenti le regole tribali più che quelle “democratiche” nella cosiddetta resistenza palestinese. In Cisgiordania, sia Hamas che Jihad hanno provato a soppiantare l’ANP , ma Fatah non ha nessuna intenzione di lasciare il campo ai suoi concorrenti.

In Libano Hezbollah ha subìto perdite tali, sia nella catena di controllo e comando che nelle attrezzature, che ha dovuto ritirarsi, con ciò che resta dei suoi effettivi, oltre il Fiume Litani, (come avrebbe sempre dovuto essere) e fuori dalla Siria che, fino a poco prima, considerava come un territorio di propria competenza. In Siria il regime di Assad, acerrimo nemico di Israele ed alleato dell’Iran e della Russia, è caduto in conseguenza proprio della fuga dei Pasdaran Iraniani e dell’Hezbollah Libanese. In Iraq Katayb Hezbollah, cioè l’altra milizia proxy dell’Iran ha dichiarato apertamente, dopo aver ricevuto qualche pesante avvertimento dal cielo, che non intende immischiarsi né nella guerra contro Israele, né in quella siriana. Nello Yemen, le milizie Houthi anch’esse alleate e proxy dell’Iran, sebbene continuino con sporadici lanci di missili, stanno subendo pesantissime perdite alle infrastrutture ed alle attrezzature militari. E per ultimo, l’Iran, si ritrova completamente esposto con le sue contromisure antiaeree distrutte e le capacità balistiche ridotte a poco o nulla.

Tutt’altro che una sconfitta per Israele, si direbbe.

Il contesto politico

Ma ciò che più di tutto è cambiato è il contesto politico nel quale si è sviluppato questo accordo di cessate il fuoco. Contesto completamente assente l’otto ottobre del 2023. L’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump ha ridato linfa a tutte le trattative, alla luce del sole o sotterranee, che avevano dato origine agli Accordi di Abramo. Ovvero quegli accordi voluti da Netanyahu e da Trump per aggirare l’impasse Palestinese ed arrivare ad una soluzione, imposta o condivisa che fosse, grazie al reciproco riconoscimento tra Israele ed il mondo arabo. Questo, unito agli straordinari successi militari ottenuti da Israele negli ultimi quindici mesi, ha permesso all’altro alleato dell’America, l’Arabia Saudita di riacquistare fiducia e ruolo in un Medio Oriente in cambiamento.

Il fatto che l’Iran sia stato ridimensionato fornisce agli stati sunniti del Golfo, una nuova ed inaspettata capacità di incidere sui destini, sia della Striscia di Gaza sia dei territori contesi. Anche il Qatar, sebbene da sempre molto vicino ai gruppi palestinesi, non si tirerà indietro dall’avere un ruolo importante nel futuro di Gaza. E così farà anche l’Egitto che più di ogni altro ha a cuore il controllo del Sinai e la possibilità di tenerlo al di fuori delle trame della Fratellanza Musulmana da tempo esiliata in Turchia ma ancora con forti agganci nella penisola.

La sconfitta del terrorismo.

Quante volte ci siamo sentiti ripetere, da quelli che la sanno lunga, che il terrorismo non si batte con le armi? Questa regola non sfugge ad Israele che anzi ne ha scritto un altro corollario. Il Terrorismo si ferma con le armi e si batte con la politica. Ora, a parte qualche scheggia impazzita che continuerà a turbare il processo, il terrorismo di Hamas ha i denti spuntati. E la striscia di Gaza è una tabula rasa sulla quale la storia dei Gazawi può essere scritta di nuovo, con l’aiuto (e l’interesse) di attori diversi da Israele. Attori che non saranno alieni, perché arabi e musulmani. Arabia Saudita, Qatar, Egitto, non tollereranno che dei mafiosi mascherati da partigiani impediscano il decollo economico di un territorio sul quale avranno investito per la ricostruzione e lo sviluppo. La montagna di dollari che arriverà per aiutare Gaza, anche da Israele, non sarà più distorta per costruire razzi e tunnel, ma per sviluppare gli investimenti miliardari dei giganti economici dell’area a tutto beneficio dei Gazawi e della Pace. In altre parole il terrorismo non sarà sconfitto dalle armi che lo hanno fermato, ma dagli accordi internazionali che lo isoleranno.

La guerra è persa, dunque?

Affatto. Trump ed i suoi alleati, grazie ad Israele che ha fatto il lavoro sporco di tarpare i tentacoli della piovra iraniana, potranno trasformare Gaza in una specie di Taiwan del Mediterraneo. Non sarà un percorso veloce, la ricostruzione sarà lunga e l’avvicendamento di potere complicato. Hamas proverà ad intestarsi una vittoria inesistente per mantenere il consenso tra la popolazione. MA l’OLP e Fatah non hanno dimenticato di essere stati cacciati a fucilate da Gaza. Ed a Tulkarem ed a Jenin hanno già dimostrato che non hanno intenzione di lasciare il potere a Hamas. Gli investitori internazionali avranno bisogno di un governo stabile e dialogante, quindi elimineranno politicamente le voci dissonanti da Gaza. E quando il benessere, il commercio, la ricostruzione non riguarderanno solo i collusi con Hamas ma tutti i Gazawi, si potrà riconoscere che il terrorismo è stato finalmente battuto e la guerra vinta.

Alexandro Ascoli
Alexandro Ascoli
Imprenditore ed esperto di storia militare. Presidente onorario della Associazione di Ricostruzione Storica "Mos Maiorum". Studioso di Geopolitica e dei conflitti dell'evo antico e moderno del Medio Oriente.
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