L’annuncio della tregua a Gaza
Già da ieri (15 Gennaio ndr) le voci che arrivavano dal Qatar erano contrastanti. Addirittura il Primo Minstro Qatariota era stato costretto a rinviare l’attesissima conferenza stampa per l’annuncio della sottoscrizione dell’accordo. Alla fine tutti, in primis il presidente americano eletto, Donald Trump, si è assunto il merito di aver concluso l’accordo tra le parti. A seguire il P.M. Qatariota ha ufficializzato la cosa, Binen ha cercato di riprendersi il merito che Trump gli aveva sottratto. Insomma tutti contenti, i leaders e le popolazioni. Quella di Gaza che festeggiava come se avesse vinto una guerra, portando in trionfo i terroristi di Hamas con i Kalashnikov in mano. Quella delle piazze, in Israele, che tutte le settimane chiedeva un maggiore impegno per la liberazione degli ostaggi.
I tentennamenti
Colpiva come i portavoce dei veri interessati, Israele da una parte ed Hamas dall’altra, fossero piuttosto riservati nel mostrarsi soddisfatti. Questo, da una parte, si poteva imputare alle possibilità di caduta del Governo minacciate da Ben Gvir e da Smotrich, dall’altra dalla consapevolezza che il venir meno del sostegno Iraniano potrebbe presto significare una perdita di potere nel feudo della striscia. Nonostante questi segnali di insicurezza tutti abbiamo dato per acquisito il risultato. Il cessate il fuoco era stato sottoscritto.
L’ambiguità del Medio Oriente
Ma come sempre il Medio Oriente non smette mai di stupirci. Già stamattina hanno cominciato a trapelare, attraverso gli uffici del Primo Ministro Israeliano, le prime voci sulla possibilità che, al contrario, l’accordo ancora non era stato siglato. E che Hamas avesse appena rilanciato impugnando il veto posto da Israele su alcuni nomi di detenuti palestinesi che non potevano essere liberati. Questo rilancio di Hamas sembra che abbia bloccato la sottoscrizione dell’accordo spingendo la delegazione israeliana quasi ad abbandonare il Qatar. Nulla è dunque mai come sembra, in Medio Oriente.
I motivi.
Nessuno conosce veramente i motivi di questi ritardi. Entrambi gli attori sono combattuti, al loro interno, tra il proseguire la guerra e l’interromperla. Per alcuni ambienti in Israele, tra cui alcuni ambienti militari, sempre molto pragmatici, essere arrivati ad un passo dal totale annichilimento di Hamas e doversi fermare rappresenterebbe una mancata occasione che difficilmente si potrebbe ripetere con pari efficacia. Per Hamas, l’unica garanzia di sopravvivenza è quella di riuscire a temporeggiare il tempo necessario di permettere, all’Iran ed al Qatar, di riprendere a finanziarla e ad armarla, in misura tale da riprendere il controllo della Striscia. Ed anticipare il cessate il Fuoco significa dover rinunciare al salvacondotto rappresentato dagli ostaggi.
I Rischi.
Per Israele e per Netanyahu è arrivato però il tempo di fermarsi. Il rischio sarebbe quello di infognarsi in una endless war dai costi umani ed economici insostenibili. Uno scenario del genere, lungi dal garantire la totale sconfitta di Hamas rischierebbe di erodere il forte consenso riacquisito da Netanyahu con la vittoria a Gaza, in Libano, in Siria ed in Iran. Consenso necessario per affrontare le commissioni di inchiesta sul 7 Ottobre che si apriranno dopo la fine del conflitto. per Hamas, continuare, significa anche mantenere l’Iran in una condizione di rischio per le reazioni di Trump. Rischio che gli Ayatollah non hanno alcuna intenzione di correre. Inoltre continuare la guerra significa umiliare gli sforzi di mediazione dell’Egitto, che non ha mai gradito la presenza nel Sinai della Fratellanza Musulmana di cui Hamas è la costola palestinese. Egitto che ha già ammassato intere unità meccanizzate al confine con la striscia, vicino al valico di Rafah.
La reazione degli USA
Ma i più umiliati, nel caso di una interruzione dell’accordo sarebbero proprio gli Stati Uniti. Il consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Trump infatti ha appena detto : “Hamas non controllerà più la Striscia di Gaza e se si tira indietro dagli accordi, dovrà vedersela con noi ancor prima che con Israele”. Dunque non ci resta che aspettare i prossimi sviluppi. La mano, ora, è ad Hamas. che deve scegliere se accreditarsi come un interlocutore credibile per cercare di trovare un modo di riciclarsi a Gaza, oppure se ha deciso, ancora una volta, di sacrificare la popolazione della striscia trascinandola nel suo suicidio collettivo.