“Questo è il Dovere supremo dell’uomo che lotta: incamminarsi verso l’alta vetta raggiunta da Cristo , il primogenito della salvezza. Come possiamo cominciare?
Se vogliamo seguirlo, dobbiamo conoscere a fondo il suo conflitto, dobbiamo rivivere le sue angosce: la sua vittoria sulle insidie fiorite della terra, il suo sacrificio per le grandi e piccole gioie degli uomini e la sua ascesa di sacrificio in sacrificio, di battaglia in battaglia, di elevazione in elevazione fino, al culmine del martirio, la Croce.
(Nikos Kazantzakis, L’ultima tentazione)
Perseguitato dal suo destino, abbandonato in una terra arsa dalla fame e dalla rivolta, in una notte infuocata e insopportabile tra i deserti della Palestina, il Cristo è vittima di un incubo. Sogna gli apostoli che vengono a richiamarlo per compiere la sua missione, sogna il destino di sacrificio e di redenzione che il suo padre celeste ha scritto per lui, sogna la sua fine fatta di abbandoni e di martirio e questo sogno gli appare come un incubo e una persecuzione. Infatti, dopo una notte inquieta ed agitata si sveglia e torna alla sua vita di piccolo falegname di una provincia ribelle del più grande impero del mondo antico.
È ancora troppo presto e quel destino che sente più che come una vocazione, come una maledizione gli sembra ancora lontano e nel silenzio della sua bottega pensa ancora di sfuggirgli. Ma tutti i giorni che precedono la sua chiamata, non sono altro che delle prove tecniche di resurrezione, dei rituali preparatori del suo destino, sfuggirgli è solo un’illusione, tutto si compirà. Cristo non è un falegname come gli altri un giovane qualunque che vive nascostamente tra gli uomini, ma anzi è odiato dal suo popolo, è visto come un traditore, un crumiro della causa di Israele perché è un crocifissore.
Un uomo che prepara e porta le croci sui tanti calvari della Palestina per consegnare ai ribelli di Israele gli assi dell’esecuzione dei romani che con quelle croci, le stesse che un giorno lo circonderanno sul Golgota, estirperanno le speranze e le vite dei tanti Messia pronti a sacrificarsi per la libertà di Gerusalemme. Proprio in una di quelle esecuzioni mentre porta la croce per un Maccabeo, il Cristo scorge il suo destino, quel giorno non è una simulazione del suo destino, ma una sua anticipazione, già quel giorno la sua passione inizia e lo accompagnerà fino alla sua fine.
Si apre con questa narrazione il primo magistrale capitolo de “L’ultima tentazione” di Nikos Kazantzakis (Crocetti). Un romanzo straordinario con cui Kazantzakis non vuole solo scrivere una rivisitazione in chiave umanistica dei fatti e dei detti del vangelo, ma con essi realizza un vero e proprio apocrifo moderno, l’ultimo, il più straordinario. Un apocrifo che non mostra un Cristo gnostico o orientale e mistico, bensì un Cristo umano, ma non blasfemo, terreno ma non materiale. Non è né un rivoluzionario né una super star è un uomo che soffre, che piange, che sanguina e che esita. Seppur ha fede trema, seppur divino è vulnerabile ai dolori e alle piaghe della vita.
L’opera segue le vicende del profeta nei suoi ultimi anni di vita, dal pellegrinaggio nel deserto alla crocifissione, dall’abbandono della casa natia alle ultime tentazioni che lo accompagneranno sulla croce. Non è però un Cristo esclusivamente terrestre, umano e carnale quello descritto da Kazantzakis. La sua storia è densa di miracoli, il suo destino è impregnato delle sorti dell’assoluto, delle estasi del soprannaturale. Materia e spirito, terrestre e numinoso, sangue ed anima si intrecciano nelle pagine di Kazantzakis che sia grondano del sangue dei rivoltosi e della corona di spine del Rex iudeorum, sia sono inebriate dall’incenso dei templi e dei luoghi sacri che resistono tra i deserti del mondo antico, creando l’immagine di una passione caravaggesca in cui i corpi nodosi, mortali e infestati di dubbi e piaghe dei suoi personaggi si contaminano di grazia, di mistero, di salvezza.
La vicenda de “L’ultima tentazione” accompagna il lettore in una cronaca sinottica, ma apocrifa di quella evangelica fino ad arrivare all’attimo della crocifissione, al momento in cui proferendo quel celebre “Eli Eli lama sabactani”(Dio Dio perché mi hai abbandonato) si abbandona al suo irrimediabile destino, immolandosi per l’umanità intera dimostrando che nessuna rivoluzione materiale è sensata senza resurrezione spirituale. In quel momento però il Cristo viene colto da una folgorazione, il suo padre celeste ha mandato un emissario a salvarlo, il suo sacrificio non sarà consumato, il suo destino sarà libero da questa maledizione, la sua missione è stata compiuta ed ora, salvato da un angelo, può scegliere di tornare ad una vita semplice seguendo insieme alla Maddalena una esistenza familiare e casalinga. Un sogno da cui però viene risvegliato grazie al pensiero dei suoi apostoli e alla consapevolezza del suo compito.
Ha esitato, ha tremato di fronte all’ultima tentazione del peccato, ma il suo turbamento non è una prova della sua sconfitta bensì un sintomo della sua lotta. Una lotta che anche di fronte alle tentazioni sulla croce del maligno può essere affrontata, può essere vinta. In questa senso tutta la storia del Cristo può essere letta come quella di un modello supremo di ogni uomo che lotta, della lotta eroica che ogni uomo conduce e che non solo può essere vinta, ma già lo è stata. Il Cristo di Kazantzakis infatti non è un santino o uno sfondo aureo di una bella e distaccata agiografia, ma è un mito, un modello, un esempio. Un martire dell’umanità che sceglie la via della redenzione, della salvezza, della lotta consegnandosi al mondo e ai suoi tormenti non con serafica compostezza, ma con i dubbi, con le passioni e le paure di un uomo, con la disperazione di un uomo mortale e con il disincanto e la rabbia di un Dio che osserva un destino che sfugge al suo controllo, mostrando non solo quanto è difficile essere un Dio, ma soprattutto quanto è difficile essere un uomo. Un Cristo proibito che è costato al suo autore l’esilio morale e proscrizione, l’odio delle gerarchie ecclesiastiche e l’oblio della cultura accademica, ma che a distanza di secoli può riscattarlo, può mostrargli che anche la sua battaglia è stata vinta.
Nell’opera infatti si sentono gli echi della sua Ascetica e le tensioni della sua Odissea e dietro alla maschera di questo Cristo proibito ed apocrifo si cela quella di Nietzsche, di Zorba, di Odisseo e del suo autore, di una filosofia della lotta e di una teologia eretica imperdonabile e numinosa, sacra e popolare, carnale e soprannaturale il cui contenuto non è solo amplificato dallo stile di Kazantzakis, ma è ad esso intrinseco. Uno stile carnale e puro, pasoliniano e caravaggesco, classico e moderno in cui le parole sembrano risvegliarsi dal silenzio della scrittura ed iniziano a risvegliarsi, a risorgere, a sanguinare ancora come carne viva, come verità e realtà profonda dell’uomo e non come mere descrizione del suo travaglio. Una cronaca trecentesca, tra i martirii di Caravaggio e la durezza del “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, tra l’incenso della mistica cristiana e il sangue del sacrificio del popolo greco durante l’ottocento, gli abissi di Dostoevskij e le illuminazioni dello Zarathustra. Un romanzo straordinario e struggente scritto dal più imperdonabile degli scrittori greci per raccontare la passione di Cristo in tutta la sua celestiale umanità.