Il vertice di San Francisco e le timide convergenze sulla crisi di Gaza, fanno emergere una nuova fase della politica estera statunitense nei confronti della Cina che si rivela essere sempre di più incentrata su una “collaborazione competitiva” piuttosto che su una netta opposizione. Una condizione, che alla rottura drastica del decoupling preferisce la reciproca diffidenza del derisking e che avrebbe tra i suoi moventi principali la spinosa questione delle profonde “interdipendenze finanziarie” tra Pechino e Washington, come ha sottolineato in una sua recente intervista su Dissipatio l’ambasciatore Sergio Vento. L’ambasciatore Vento ha, infatti sottolineato che “una rottura totale tra la Cina e gli Stati Uniti produrrebbe degli shock e delle conseguenze disastrose per i debiti pubblici e privati di questi paesi, senza precedenti. È vero che la Cina ha grandi risorse e mantiene ampi margini di autonomia, coltivando relazioni e network internazionali di cui spesso si sottovaluta la rilevanza, come i Brics. Ma allo stesso tempo c’è una profonda interdipendenza, economica e finanziaria, che lega strettamente Cina e Stati Uniti e non ne consente una rottura netta e profonda come è stato ad esempio tra gli Usa e la Russia”.
Una rottura totale tra Cina e Stati Uniti infatti produrrebbe degli shock e delle conseguenze disastrose per i debiti pubblici e privati di questi paesi, che porterebbero ad un collasso reciproco. Nonostante Pechino abbia grandi risorse e una solida autonomia strategica c’è però una profonda interdipendenza, economica e finanziaria, che lega strettamente Cina e Stati Uniti, sia tramite uno interscambio commerciale di 700 miliardi, che attraverso le interrelazioni tra i rispettivi debiti pubblici e privati. In questo senso la questione debitoria, è un argomento chiave per comprendere le ragioni di questo controllato riavvicinamento che sembra essere mosso da una nuova idea, economica e finanziaria, di deterrenza.
Se durante la Guerra Fredda abbiamo assistito, infatti, ad una competizione congelata per il pericolo di un conflitto nucleare e di una “Mutual Assured Destruction” (Mad), che avrebbe generato una reciproca distruzione totale assicurata, oggi invece ci troviamo di fronte al rischio di una nuova Mad sul piano economico-finanziario. La cosiddetta MAFD, Mutual Assured Financial Destruction (come hanno sottolineato Larry Summers e lo stesso ambasciatore Vento), sembra essere infatti la nuova implicita dottrina della politica estera americana, che in questo “disordine mondiale” cerca un nuovo equilibrio con la Cina, in modo da disarticolare il fronte delle autocrazie, cercando di instaurare un nuovo tentativo di governance internazionale.
La Cina da par suo sembra oggi più che mai interessata a trovare delle convergenze sia sul piano della governance internazionale, come testimoniano gli incontri tra Blinken e Wang Yi, suo corrispettivo cinese, che sul versante degli investimenti di Pechino negli Usa. In questo scenario però l’Occidente non deve cadere nell’errore di sottovalutare la pervasività dei network a trazione cinese, come i Brics, a cui vanno contrapposte delle nuove opzioni commerciali e politiche, come ad esempio la Via del cotone, alternative alle spinte egemoniche cinesi.
In questo scenario è quindi fondamentale cercare delle relazioni strategiche alternative, soprattutto in opposizione alla nefasta Belt Road Iniziative, ma allo stesso tempo ammettendo che una totale recisione dei rapporti con Pechino non è né possibile né auspicabile. Occorre quindi mantenere alta la guardia, sia come Europa che come Italia, e valutare una bussola strategica capace di orientarci in questo scenario tanto complesso, quanto ineludibile. Soprattutto perché la Cina non si è mai dimenticata di essere un nostro rivale sistemico. E nemmeno l’Occidente dovrebbe farlo…