venerdì, Gennaio 24, 2025
spot_img
HomeEsteriReport Quinto Scenario

Report Quinto Scenario

Strani tempi questi in cui in Europa si respira aria di conflitti ma, in Italia, la stampa ed una certa editoria si sperticano a mettere alla gogna gli aggrediti e minimizzano le responsabilità degli aggressori. In cui le università, laiche per definizione, rifiutano di ascoltare il Papa ma accolgono il sermone di un Imam che incita al Jihad.

Ieri sera, è stata la volta di Rai3 con Sigfrido Ranucci ed il suo “scoop” sul caso Ustica. Scoop per modo di dire perché l’ipotesi che nel caso Ustica, fosse coinvolta anche l’Aeronautica Israeliana, è una teoria molto vecchia, che risale al 1992 anno in cui, Claudio Gatti, che il buon Sigfrido elegge nientemeno che a consulente del suo servizio, da alle stampe il suo “Il V scenario”. Un ponderoso volume di oltre 600 pagine che si avvita su sé stesso nella spasmodica ricerca di affibbiare ad Israele la responsabilità dell’abbattimento del DC9 dell’Italia.

In questi giorni, sempre Claudio Gatti, non pago dello scarso successo ottenuto dalla prima edizione e visto il clamore che la guerra di Gaza ha alzato intorno ad Israele, fa uscire “Il V scenario, atto secondo”, una nuova edizione della sua teoria, stavolta scritta ad una sola mano, visto che Gail Hammer non è presente in questo ennesimo tentativo.
Ovviamente l’amico Ranucci non ha esitato a dare risalto a questa finta novità. Un po’ per i motivi che abbiamo detto all’inizio, un po’ perché un servizio su quanto sia cattivo Israele, di questi tempi, porta sempre audience, titillando i ventri degli amanti delle teorie del complotto.

Chissà come mai, i putiniani sono quasi sempre antisionisti e gli antisionisti sono quasi sempre putiniani ma, in ogni caso, si definiscono sempre pacifisti e ben disposti ad accogliere anche le teorie più strampalate come verità occulte.
Ma noi che amiamo ragionare con i fatti, cerchiamo di capire quali sono i nuovi elementi fattuali che hanno spinto Claudio Gatti a scrivere, a distanza di 32 anni una nuova edizione del suo libro e Sigfrido Ranucci a dedicare, buona parte della sua puntata e della sua redazione, a realizzare un servizio che vuole apparire come uno straordinario scoop, ma non lo è.

Il servizio inizia con un intervento dell’ex Primo Ministro Giuliano Amato, usato strumentalmente per seminare dubbi sulle precedenti indagini. Anche il vice ambasciatore Americano viene intervistato e nega il coinvolgimento degli USA (ovviamente) che, nei confronti dell’Iraq di Saddam, però, avevano gli stessi presunti moventi. Come argomento egli porta il fatto che la portaerei Saratoga fosse ferma nel porto di Napoli. Ma il fatto che la Saratoga fosse alla fonda nel porto vuol dire poco, visto che un aereo statunitense avrebbe potuto decollare da qualsiasi base USA in Europa, compiendo un tragitto molto più breve che un aereo militare da Israele.

Che poi i francesi non avessero motivi per abbattere Geddafi è molto opinabile così come è al contrario possibile che stessero lì proprio per scortarlo, visto che di aerei fantasma ne risultano ben cinque, ed un eventuale attacco americano o israeliano non avrebbe certo mosso così tanti velivoli.

Resterebbe la pista sovietica ma, anche quella, viene liquidata frettolosamente. Il giudice Priore, che citano, parlava nella sua sentenza, di una azione di combattimento aereo. Ma siccome non ci risulta che i DC9 dell’Itavia fossero armati, mancherebbe il secondo attore del combattimento a colpi di missile del quale, ovviamente, non si fa accenno, tale è la foga di avallare l’ipotesi israeliana.

Ecco dunque che entra in scena il reporter d’inchiesta Claudio Gatti che ci spiega come fosse necessario, nella ricerca delle responsabilità di Ustica, cambiare approccio. Ovviamente dando per assunto che tutti coloro che hanno indagato prima fossero o collusi o imbecilli, e che solo lui, fra tanti, è l’unico sveglio.

L’approccio giusto dunque, è quello di capire quale forza aerea internazionale avesse avuto dei precedenti di abbattimenti di aerei civili e, guarda caso, la sua attenzione si poggia su Israele. Salvo però poi scoprire dal servizio che l’unico episodio accertato perché riconosciuto subito dalle IAF fu quello di un aereo di linea libico abbattuto per errore sul Sinai nel 1973, poco prima della guerra del kippur. Ovviamente che per quell’incidente ci si trovasse in una condizione di tensione altissima e che l’aereo avesse sconfinato in territorio israeliano ed avesse ignorato ogni avvertimento il servizio si guarda bene di accennare. E che Israele abbia immediatamente riconosciuto l’azione appare irrilevante rispetto al mistero che aleggia da quarant’anni su Ustica.

Dopodiché ci si aspetterebbe di sentire altri episodi di quella che sembrava essere una abitudine israeliana, invece si parla del raid israeliano su Tripoli (1985) nel quale venne colpito il quartier generale dell’OLP, dunque una azione contro un obbiettivo terrestre. Niente a che vedere con abbattimenti di aerei civili. Ma il racconto del raid su Tripoli è funzionale a dimostrare che gli israeliani, cinque anni prima, avrebbero già avuto le capacità per affrontare un viaggio tanto lungo da arrivare fino in Sicilia. La grafica addirittura ci aiuta ad immaginare una intera squadra di caccia seguita da almeno un aereo cisterna che avrebbe garantito il rifornimento in volo di ben 5 caccia israeliani. Ora, non serve essere un Ammiraglio dell’Aria per capire che una tale operazione può aver senso per colpire un obbiettivo fermo a terra come una palazzina ma avrebbe dell’incredibile per intercettare un bersaglio aereo in movimento che andrebbe atteso da una intera squadra, inseguito ed abbattuto senza farsi vedere.

Ma andiamo avanti. Vengono intervistati due ex agenti dell’intelligence israeliana. Entrambi gli intervistati israeliani rispondono a domande sul raid di Tunisi ma le risposte, accennando alla Sicilia, vengono fatte passare per relative alla ipotesi di Gatti. In realtà lo stesso gatti spiega che tutto dimostra solamente che gli israeliani potevano arrivare all’altezza della Sicilia senza essere visti ma, una cosa è bombardare, una cosa è intercettare a 2000 km di distanza dalle proprie basi.

Arriviamo ai testimoni civili italiani. Il primo, l’avvocato calabrese, per anni afferma che l’aereo era un Mig di fabbricazione Sovietica, come quello libico trovato sulla Sila, ma poi si ricrede, affermando che si trattava di un Kfir israeliano (vorrei sapere quanti avvocati italiani sanno riconoscere un Kfir israeliano ma comunque). Strano però che se lo ricordi completamente grigio come usano i Mig sovietici, ed anche con un certo livello di sicurezza, visto che nota persino i segni delle pennellate per coprire i simboli nazionali, però non sa che i Kfir israeliani hanno abitualmente una vistosa livrea mimetica a grosse chiazze verde, marrone e sabbia, mentre gli esemplari venduti da Israele agli USA sia ai Marines che alla Marina, hanno effettivamente una livrea grigia. Da notare che, per tutto il servizio, i Kfir vengono mostrati usando il bianco e nero per farli apparire tutti grigi.

Addirittura il secondo testimone afferma di riconoscere il Kfir in tre aerei che sorvolano la sua città provenendo da nord-ovest, (la direzione della Francia per capirci) come le tracce radar di Fiumicino, però a Giugno in una data imprecisata. L’ipotesi dei nostri investigatori è che gli israeliani, non solo abbiano compiuto un raid quasi impossibile sulla Sicilia per testare le difese aeree italiane, ma lo abbiano replicato addirittura altre due volte. Una il 27 Giugno per per abbattere il Dc9 Itavia e poi, non paghi, cinque anni dopo per colpire Arafat a Tunisi. Insomma, questi israeliani, sono riusciti non solo ad essere invisibili tre volte a duemila km di distanza da casa, ma hanno fatto pure il giro largo per arrivare da nordovest anziché da sudest. Occam si sta già mettendo di fianco, nella tomba.

Ma ora arriva il bello, quello per cui Occam farà il vero e proprio salto. La prova delle prove starebbe nell’aver rinvenuto, anni dopo, un serbatoio ausiliario americano poco distante da Ustica. È chiaro, secondo i nostri detectives, che quel serbatoio non possa essere stato sganciato che da un caccia israeliano. Non conta che il serbatoio, appunto, sia di produzione americana ed in uso all’aviazione americana, non conta che gli USA abbiano svolto centinaia di voli addestrativi in lungo ed in largo per l’Italia, non conta nemmeno che solo cinque minuti prima ci avessero spiegato, con dovizia di particolari, che per gli ipotetici raid sarebbero serviti ben due rifornimenti in volo che rendevano inutili i serbatoi ausiliari, non conta neppure che, in una azione di intercettazione così complessa i pod sarebbero stati usati per l’armamento, non certo per i serbatoi. Conta invece che la stessa fabbrica americana vendeva gli stessi serbatoi anche ad Israele. Straordinario!

Dunque la possibilità, per quanto remotissima c’è, l’opportunità pure, come in ogni giallo che si rispetti manca il movente. Invece, secondo i nostri fantastici investigatori, il movente c’è, ed è la volontà che la Francia non fornisse agli Irakeni un componente fondamentale per la realizzazione del progetto atomico. Sì parliamo del fatto, comprovato, che Saddam Hussein era d’accordo con la Francia e l’Italia per produrre la bomba atomica. Insomma, poco male che due paesi della NATO stessero aiutando un dittatore a produrre ordigni nucleari (sappiamo che noi ci siamo venduti per 50 miliardi), ciò che è interessante è che Israele, guarda un po’, fosse preoccupato dei progressi atomici del dittatore suo rivale.
Ora, al di là di tutte le forzate coincidenze sulle date, ipotetiche, depistatorie, o reali, del trasferimento di questo fondamentale componente per via aerea, con un aereo cargo, resta il fatto che, per andare dalla Francia all’Iraq, si passa quasi sopra Israele e che sarebbe stato molto più facile, per Israele, intercettare il cargo francese al largo del mediterraneo orientale, lasciandolo sparire semplicemente dai radar, piuttosto che arrivare fin nel Tirreno meridionale, con un enorme rischio, un costo elevatissimo e violando i cieli di nazioni alleate nei quali il traffico aereo è fittissimo.

Eccoci dunque al gran finale. Tutto torna secondo i nostri straordinari investigatori. Peccato che noi, di una certa età, fin dai tempi di Perry Mason abbiamo capito che, per muovere una accusa credibile e, soprattutto perseguibile, occorre qualcosa di imprescindibile, la prova che il colpevole fosse sul luogo del crimine. E questa prova, dopo tre quarti d’ora di suspense, semplicemente non c’è.

Non è che non ci sia la prova che a sparare sia stato un caccia israeliano. Manca proprio qualsiasi prova, anche indiziaria, che aerei israeliani siano mai stati lì il 27 Agosto del 1980.
Caro Sigfrido, per fare un po’ di pubblicità all’amico Gatti, o semplicemente per alzare un po’ l’audience di Report, non è proprio il caso di buttare altra benzina sul fuoco di una situazione già così incendiaria come quella dell’antipatia diffusa nei confronti di Israele.

Articolo precedente
Articolo successivo
ARTICOLI CORRELATI

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

- Advertisment -
Google search engine

Articoli popolari

Commenti recenti