Una antipatia nata dopo l’elezione di Biden.
Con la vittoria di Biden, già 8 anni fa, e l’immediato riconoscimento della stessa da parte di Benjamin Netanyahu, i rapporti con lo sconfitto Donald Trump hanno indubbiamente preso a raffreddarsi. Finiti i tempi in cui il genero di Trump, Jared Kushner, che allora rivestiva il ruolo di Consigliere degli Stati Uniti per il M. Oriente, manteneva l’intesa tra i due leader ai massimi livelli, l’attenzione del premier Israeliano era tutta rivolta a gestire il difficile rapporto con l’amministrazione democratica statunitense. Indubbiamente riuscire a bilanciare le spinte americane verso una distensione con l’Iran, con la consapevolezza israeliana che pensare di gestire il regime degli Ayatollah è come voler tenere una tigre per la coda, è stato un lavoro diplomatico che ha assorbito il governo Israeliano a tempo pieno. Almeno fino al 7 Ottobre 2023.
Dopo il 7 Ottobre
Dopo il 7 Ottobre la situazione è molto cambiata. Anche i democratici americani, che conoscono perfettamente i retroscena mediorientali e riconoscono la mano iraniana dietro ad Hamas, hanno accettato di sospendere ogni mossa di apertura contro un regime chiaramente pericoloso. Ciò ha permesso ad Israele di avere una mano più libera nel combattere il terrorismo, dentro e fuori Gaza. Ciò nonostante l’amministrazione Biden ha subito pesantissime pressioni da tutto l’ambiente Dem legato alla sinistra più radicale, alla galassia woke, ai movimenti filoarabi e filo palestinesi.
Il Capro Espiatorio
Ecco quindi che il governo americano, seguito a ruota da quelli occidentali, ha assunto un atteggiamento a dir poco schizofrenico. Da una parte riconosceva ad Israele il sacrosanto diritto di difendere sé stesso. Godeva anche delle operazioni compiute fuori da Israele per il contenimento di altri gruppi terroristici legati all’Iran come Hezbollah, Katayb Hezbollah e gli Houthi, Applaudiva al crollo del regime di Assad in Siria. Ma dall’altra parte, per tenere buone le minoranze esagitate dentro le Università e nei circoli culturali, aveva bisogno di qualcuno su cui scaricare ogni colpa possibile, un Capro Espiatorio. E nessuno, a questo scopo, fungeva meglio del premier israeliano, Benjamin Netanyahu.
Il Falco dei falchi.
Benjamin Netanyahu, i falco dei falchi, quello che resta al governo per 4 lustri in barba ai principi di alternanza, che si lega, al governo con dei fanatici estremisti, che è inquisito per corruzione, che non ferma i propri militari e che non blocca gli insediamenti. Chi, meglio di lui, può fare da parafulmine alle ire dei democratici, pacifisti, non violenti, propalestinesi?
Le promesse di Trump per una pace in Medio Oriente.
Intanto, in questi mesi nei quali Netanyahu assumeva sempre più i connotati del Villain holliwoodiano, Donal Trump si presentava al suo elettorato come l’Uomo della Provvidenza. Quello che si sarebbe messo a tavolino con Putin ed avrebbe risolto il conflitto in Ucraina in un’ora, Quello che avrebbe preso il the con Xi Jinping, quello che avrebbe tenuto a bada l’Iran senza bisogno di guerre. E quello che avrebbe fatto finire la guerra a Gaza ed imposto una nuova pace in Medio Oriente.
Netanyahu sacrificabile.
Chiaramente, per raggiungere questo scopo, nella mente di Donald trump, occorrerà il massimo consenso possibile. Ed occorrerà concedere qualcosa agli avversari politici, alle masse arabe, ai governi sunniti filo americani che non possono perdere la faccia coi loro cittadini. Persino con quei governi ostili agli USA ma ancora più ostili verso l’Iran, come la Turchia. Ed ecco che la migliore moneta di scambio appare proprio essere il Primo Ministro Netanyahu. Antipatico a tutti, rappresentato come perfido e crudele nelle vignette satiriche, un po’ antisemite, del mondo arabo che vengono tollerate negli ambienti “democratici” in occidente, ed antipatico anche ad una fetta consistente dell’elettorato israeliano.
Fetta dell’elettorato israeliano, vale la pena ricordarlo, ancora sotto shock per l’attentato ed il pogrom del 7 ottobre. Impegnata, da oltre un anno, in una guerra su tanti fronti diversi. Composta anche da parenti ed amici di ostaggi ancora nelle mani dei palestinesi. Una buona parte di Israele, con oltre 100.000 cittadini su 8 milioni di abitanti sfollati per gli effetti della guerra, con l’insicurezza causata da attentati sempre più frequenti dentro il Paese, butterebbe volentieri a mare il primo ministro che era alla guida dello Stato in quella sciagurata mattina di autunno.
Le responsabilità del 7 Ottobre.
Perché, diciamocelo, nonostante gli indubbi meriti tattici e strategici che questo governo può intestarsi dopo aver debellato Hamas e Jihad Islamica a Gaza. Reso innocuo Hezbollah in Libano. Aver cacciato i Pasdaran dalla Siria e permesso la caduta del regime di Assad, ridimensionato drasticamente le capacità militari iraniane. Questo governo ha la pesantissima responsabilità di non essere riuscito ad evitare il più grave pogrom dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla Shoah. E ciò che è peggio, sul suolo di Israele. Una responsabilità a cui non sfuggirà di rispondere per quante vittorie possa ottenere. Esattamente come toccò a due personaggi della storia Israeliana, di ben altro spessore storico come Golda Meir e Moshe Dayan dopo la guerra del ’73, con la Commissione Agranat.
Donald Trump, che meglio di ogni altro sa fiutare il sangue delle sue prede politiche, ha già fatto questo calcolo, e lo sta dimostrando.