E’ da parecchio tempo che Limes appare come una rivista da “vecchia scuola”. Senza dubbio rimane la rivista di Geopolitica più prestigiosa che abbiamo in Italia e Lucio Caracciolo è sicuramente uno dei maggiori esperti, ma sembra che sulla questione Israele neanche Limes riesca ad essere scevra da un approccio ideologico o, quantomeno, poco aggiornato.
L’approccio di Limes al caso Israele
Proprio oggi è uscito sul canale YouTube l’ultima puntata di Mappa Mundi dal titolo evocativo “La Notte di Israele” in cui Alfonso Desiderio “intervista” Lucio Caracciolo sulla prefazione del volume. Già l’esordio appare datato. Si descrive Israele come obbligato a portare avanti guerre brevi per le sue dimensioni e per la sua demografia. Dimenticando che le guerre di Israele furono brevi perché ogni qual volta il conflitto volgeva a favore dello stato ebraico questo veniva bloccato dall’intervento delle Nazioni Unite.
Persino la mobilitazione dei 300.000 riservisti ed il ritardo nell’intervenire boots on the ground a Gaza viene visto come un segnale di debolezza ignorando che uno spostamento di IDF verso sud senza il richiamo dei riservisti avrebbe permesso ad Hezbollah di attuare il piano gemello di Hamas partendo da Nord.
Lo stupore di Caracciolo
Caracciolo si domanda come mai IDF non abbia scelto di intervenire a Gaza nello stesso modo in cui è intervenuto in Libano, cioè con interventi più mirati e puntuali, anche qui dimenticando che Hamas aveva compiuto un pogrom su suolo israeliano e che la risposta non poteva essere meno che l’annientamento militare di Hamas, cosa che è avvenuta.
Ovviamente il Direttore non può fare a meno di ricordarci che i terroristi non si sconfiggono terrorizzandoli. Certo, ma la loro struttura militare sì, e la catena di controllo e comando può essere messa in difficoltà nel momento in cui le leadership non vengono più rese note per paura che sul nuovo capo venga apposta una etichetta di scadenza a breve termine.
Persino il rapporto con gli Stati Uniti viene messo in discussione, mettendo in evidenza come Israele approfitti degli aiuti americani ma non tenga conto dei consigli. E cioè ricordando l’ammonimento del presidente Biden di non ripercorrere gli stessi errori commessi dagli USA in Afghanistan. E conclude dichiarando che, oramai, Israele si è completamente isolato ed è avviato sulla strada dell’autodistruzione.
Il cambio di paradigma di Israele
Ciò che sfugge, evidentemente, alla rivista più prestigiosa d’Italia in fatto di geopolitica, è che Israele ha cambiato completamente paradigma, e non da oggi. Lo sguardo con cui osservano Israele è uno sguardo occidentale, ma Israele ha smesso di essere un paese occidentale da quando l’Occidente lo ha abbandonato abbracciando acriticamente la causa palestinese.
Israele non ha mai condotto guerre brevi. Questo, forse, è ciò che sembra ad un occidentale. Per un Israeliano, Israele non ha mai smesso di essere in guerra dal 1948. La più lunga guerra che la storia moderna ricordi interrotta solo da periodi di non belligeranza determinati dall’intensità con la quale Israele è riuscita a colpire ed a ridurre le potenzialità militari dei suoi nemici.
Ciò che ha reso diversa, apparentemente, la conduzione di questa ultima fase, è stata la concomitanza con un’altra guerra in Europa. Un conflitto vero in cui è coinvolta l’altra superpotenza occidentale, la Russia. L’attacco di Hamas del 7 Ottobre 2023, probabilmente portato per alleggerire il fronte russo distraendo così l’alleato americano di Israele, ha sortito l’effetto opposto. Anche perché gli USA si sono trovati alle prese con una campagna elettorale asperrima in cui la questione palestinese ha legato le mani all’amministrazione Biden.
E così, per la prima volta, Israele ha potuto portare avanti la guerra da paese del Medio Oriente, e non come avrebbe fatto piacere alle ipocrite cancellerie europee. Ha potuto cioè confrontarsi alla pari con le forze militari orientali senza dover combattere con un braccio legato dietro la schiena. E questo mette in difficoltà gli analisti nostrani che ancora vogliono parametrare tutto con il modo di pensare occidentale.
Il preconcetto su Israele
Ma c’è di più, ad Israele non è concesso di comportarsi da Stato Mediorientale. Nel momento in cui lo fa tornano ad affiorare tutti i preconcetti che hanno accompagnato gli ebrei per secoli. Tradiscono la fiducia dei loro alleati. Sono amici solo per soldi. Per approdare poi ai piani di conquista globale citando ipotetiche velleità di far arrivare Israele fino a Bagdad. Insomma il solito rovesciamento dei ruoli. Non un’Iran che con la sua “cintura di fuoco” ed i suoi proxy controlla militarmente milioni di km quadrati, dal Golfo Persico al Mediterraneo, dal Mar Rosso al Mar Caspio, no. Il pericolo per la pace mondiale sono le fanfaronate di qualche membro del governo Netanyahu.
Conclusioni su La Notte di Israele
In conclusione questo volume di Limes appare non essere all’altezza della fama della rivista. Troppo concentrato a porre l’attenzione su Israele con un’ottica tradizionalista e poco consapevole dell’enorme cambiamento che la società israeliana è stata costretta a subire in 80 anni di conflitto ininterrotto. E poco consapevole del lavoro di intelligence che ha portato Israele a scegliere una strategia di guerra ed una tattica sul campo strumentali a ricreare quella capacità di deterrenza che l’Iran aveva indebolito circondando lo Stato Ebraico coi suoi proxy nella totale indifferenza dell’Occidente e delle Nazioni Unite.
Non è dunque né una guerra messianica, come ama ripetere Caracciolo fin troppo spesso, né una guerra sproporzionata, visto che lo Stato Ebraico combatte contemporaneamente su 7 fronti e non può permettersi di lasciare dietro di sé sacche di resistenza. Non è un conflitto che sta isolando Israele. Questa è una visione occidente-centrica che non rende giustizia all’enorme lavoro diplomatico svolto da Israele. Lavoro che ha portato il medio Oriente Allargato a dividersi tra due potenze di riferimento. Una alleanza che segue le mire egemoniche dell’Iran, l’altra che si pone in affiancamento ad Israele contrastandole.
Oggi, alla luce dei cambiamenti nelle società occidentali, per la sopravvivenza di Israele nel suo teatro naturale è prioritario assicurarsi l’alleanza di scopo con Arabia Saudita, Giordania ed Egitto, e tutti gli stati che hanno firmato gli accordi di Abramo, magari anche contrariando gli USA condizionati da rappresentanti come Alexandra Ocasio Cortes o Rashida Tlalib.