sabato, Gennaio 18, 2025
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L’uccisione del leader di Hamas

Perché non è la fine delle trattative.

L’intelligence e la “negazione plausibile”

L’eliminazione mirata del leader di Hamas sottostà al concetto di “negazione plausibile” ovvero al fatto che tutti sappiamo chi ne è il responsabile ma questo non rivendica l’azione e non lascia tracce del suo operato. Dunque, non è possibile per nessuno, se non alle vittime ed ai suoi alleati, accusare apertamente colui che è ritenuto il responsabile. In questo caso sappiamo con relativa certezza che il responsabile dell’eliminazione di Haniyeh è il Servizio Esterno Israeliano, il celebre Mossad. Nonostante ciò, non sappiamo se il suo ruolo si è limitato alla raccolta delle informazioni attraverso la SIGINT, cioè attraverso le intercettazioni di segnale (telefoniche), oppure se i suoi analisti hanno studiato le immagini (IMINT) fornite dall’Aeronautica Israeliana (IAF) o se l’azione ha seguito i metodi più tradizionali della HUMINT, cioè della raccolta di informazioni sul campo attraverso l’utilizzo di agenti sul posto.

Chi lo sapeva.

Nei due casi le implicazioni sono molto diverse. Di sicuro Israele aspettava l’occasione giusta per colpire Haniyeh fuori dal Qatar, dove si era asserragliato sotto l’ala protettiva dell’emirato e, soprattutto, al riparo dell’ombrello di sicurezza creato dalla base aerea americana presente nel piccolo stato del Golfo persico, che avrebbe intercettato immediatamente qualsiasi aereo o drone israeliano avesse provato a colpire il leader di Hamas. Gli USA non possono permettere un attacco aereo, seppur eseguito da un proprio alleato e seppur per colpire un obbiettivo comune, sul suolo di un altro alleato, soprattutto in un’area contesa come il Golfo Persico. Per questo il Gabinetto di Guerra Israeliano aveva già emesso la sentenza di morte del cosiddetto Leader Politico.  Affinché qualsiasi finestra di opportunità si fosse aperta altrove, per quanto breve, avesse potuto essere sfruttata senza bisogno di ulteriori autorizzazioni. Per lo stesso motivo, sicuramente, anche l’amministrazione americana era al corrente che laddove Haniyeh avesse esposto il fianco, in un luogo terzo, sarebbe stato colpito, senza ulteriori indugi.

Perché a Teheran.

Certo non avrebbe potuto essere in Turchia che, bene o male, è un membro della NATO, ma il fatto che Haniyeh si sia recato proprio in Iran, per l’insediamento del nuovo Presidente della Repubblica Islamica, ha fornito il posto giusto per colpire. In più la grande visibilità offerta ai protagonisti dell’evento ha impedito che Haniyeh si occultasse e sfuggisse alla localizzazione. Probabilmente è stato più facile, per gli agenti sul campo, Israeliani o Iraniani che fossero, mescolarsi alla folla ed individuare persino l’appartamento nel quale il leader di Hamas si è ritirato per la notte. Se poi, come sembrerebbe, l’appartamento era una “casa sicura” dei Pasdaran che era già stata preventivamente minata, una volta acquisito l’obbiettivo e data la conferma, chiunque avrebbe potuto attivare l’ordigno al momento giusto, sia a Teheran che in Israele. In ogni caso un enorme smacco per l’intelligence della Repubblica Islamica.

Quali scenari

Ora in molti si chiedono quali saranno i futuri scenari. Coloro che sono avversi ad Israele vedono in questa azione l’ennesima provocazione finalizzata ad ottenere una escalation dalla quale gli USA non potranno tenersi fuori, a prescindere da chi sarà il vincitore alle elezioni di novembre. Il problema è che l’escalation non è iniziata ieri notte con l’Uccisione di Haniyeh. Non è iniziata con l’eliminazione del vicecomandante di Hezbollah in Libano, ma è iniziata il 7 Ottobre 2023 con il pogrom perpetrato da Hamas, del quale sia Hezbollah che l’Iran erano i mandanti. Ordire e compiere un tale orrore ha spostato l’asticella del conflitto di parecchi livelli più in alto, e la durezza del conflitto di Gaza, con Sinwar che usa i suoi civili come scudi umani, gli ospedali come basi, ed i tunnel come prigioni, è solo il risultato di un upgrade criminale da parte del regime degli Ayatollah. Un Upgrade cercato ed ottenuto. Ma che probabilmente non sta andando come la Repubblica Islamica ed i suoi proxies immaginavano.

La strategia

Già perché il piano che lo stato ebraico potesse collassare spingendolo ad un precoce conflitto su tre fronti, due esterni, (a nord ed a sud), ed uno interno (al centro), in una reazione inconsulta immediatamente dopo il pogrom, è miseramente fallito. Israele non solo ha intelligentemente temporeggiato richiamando ben 300.000 riservisti, ma ha prima reso inoffensive le cellule terroriste in Giudea e Samaria, ha evacuato i suoi civili dal nord del Paese mettendoli al sicuro dai colpi di Hezbollah ed ha contemporaneamente rafforzato la presenza militare nel Golan ed al confine col Libano. E solo dopo ha impegnato l’esercito in una azione di terra entrando a Gaza. Questo ha stravolto i piani iraniani ed ha messo in condizione la Repubblica islamica di dover ricorrere ad una specie di guerra di logoramento, ordinando ad Hamas di resistere sulla pelle dei suoi civili e ad Hezbollah di martellare il nord di Israele quotidianamente. Agli Houthi di chiudere il Mar Rosso ed ai Pasdaran di intensificare la minaccia ed il contrabbando di armi attraverso Iraq e Siria.

L’escalation

Ecco perché l’escalation è iniziata già da tempo, e perché non sono le eliminazioni mirate di Israele ad esacerbare un conflitto che aveva già superato qualsiasi soglia di umanità il 7 Ottobre scorso. E non sono neanche le velleità di sopravvivenza politica di Nethaniahu a prolungare un conflitto che, senza la ferma e determinata risposta israeliana si sarebbe trasformato in una costante minaccia su Israele ricattato ed immobilizzato dalla prigionia dei suoi ostaggi o, peggio, in una invasione aperta dei proxies iraniani da nord, da sud e dal Golan. Eliminato subito il rischio peggiore occorreva non restare sotto scacco di Hamas e l’unico modo era quello di distruggere le sue infrastrutture, logistiche e di comando, in maniera drastica al fine di garantire almeno un decennio di incapacità militare. Sperabilmente questo lasso di tempo potrà essere sufficiente per stabilire a gaza una nuova governance ed iniziare una ricostruzione sia politica che urbana. Per i palestinesi potrà essere l’inizio di un’epoca di pace, magari sotto una tutorship qatariota o egiziana, che sia in grado di garantire una transizione politica pacifica ed efficiente.

Alexandro Ascoli
Alexandro Ascoli
Imprenditore ed esperto di storia militare. Presidente onorario della Associazione di Ricostruzione Storica "Mos Maiorum". Studioso di Geopolitica e dei conflitti dell'evo antico e moderno del Medio Oriente.
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